UNA NUOVA LEVA DI MANAGER EXTRACOMUNITARI

 da HR ONLINE

“Per anni sono stato sui treni leggendo e rileggendo è pericoloso sporgersi, senza capire il perché di quella frase. Ma finalmente, non molto tempo fa, ho trovato la chiave per interpretare quell’espressione così oscura anche se quantomai familiare.

Ho capito cioè che occorreva procedere per sottrazione, ossia escludere i metodi di formulazione del messaggio usati per rivolgersi a tedeschi, francesi e inglesi.

Infatti è evidente che per ogni comunità linguistica –  e ciò vada a merito di quegli eccelsi inconsapevoli intellettuali che hanno redatto le targhette per conto delle ferrovie – è stato necessario trovare un modello di comunicazione che permettesse di rendere il messaggio non solo convincente, quanto piuttosto conforme alle attitudini, ai comportamenti e – perché no- all’immaginario propri della comunità stessa.
Il metodo tedesco con gli italiani non funziona.

Infatti se si vieta categoricamente di compiere una qualunque azione a un tedesco, questi, pur dovendo reprimere fortemente la propria pulsione trasgressiva, pur tentando magari di infrangere il divieto di nascosto, sostanzialmente l’azione proibita non la compie.

Se, al contrario, si tenta di impedire, anche blandamente, di fare la stessa cosa a un italiano, si può stare certi che l’italiano la farà. Io mi immagino le nefaste conseguenze di una targhetta scritta in italiano, ma con il metodo tedesco: è assolutamente vietato sporgersi!… Su di un treno a media percorrenza, un Firenze – Roma, all’altezza di Arezzo sono già tutti tronchi!

Neanche il metodo francese potrebbe funzionare, perché la nonchalance, qualità transalpina per cui nutro ammirazione, è purtroppo estranea alla nostra cultura.
Gli italiani non potrebbero mai amare e nemmeno apprezzare un atteggiamento verso le vicende e le scelte di vita così sfumato, che presupponga la possibilità di opzione individuale fra bene e male, in assoluta libertà, senza eccessi né sottovalutazioni.
Agli italiani tutto ciò suona confuso, indeterminato, vagamente inquietante.

In sostanza, o gli si permette di fare qualcosa, e allora la fanno; o gliela si vieta, e allora la fanno ugualmente.
Io non arrivo neppure a immaginare una targhetta in italiano con nonchalance, non esiste una terminologia adatta: non vale… sarebbe bene che… ma perché mai… Niente.
Con tutta la buona volontà di questo mondo, credo che nemmeno le Ferrovie della Stato riuscirebbero ad inventare una formula accettabile e, per coerenza, dovrebbero sicuramente mettere una targhetta vuota. E l’italiano, vedendo una targhetta vuota, ci scriverebbe sopra con un pennarello Forza Juve.

Il metodo inglese non funzionerebbe invece per un motivo più semplice. Abbiamo visto che gli inglesi godono di una fama pressoché usurpata di popolo educato e gentile.
Gli italiani no. Ma checché se ne dica nel mondo, noi invece siamo gente profondamente civile e disponibile, che certo non si spaventa né arretra diffidente di fronte a un please.
Noi italiani non difettiamo di certo in cortesia.

Il problema è un altro.
E’ che ognuno di noi, di fronte a una richiesta di favore, si insospettisce.

Io immagino perfettamente la scena.

L’italiano vede la targhetta con sopra scritto: per favore, non vi buttate dal finestrino… Ci pensa un po’ e poi chiede, ad alta voce: “Per fare un favore a chi?!”… Fa una pausa e poi riprende: “Ma mettiamo che ti faccia questo favore…” e già dal lei si passa immediatamente al tu, perché se parliamo di favori, perlomeno ti do del tu, “mettiamo che io ti faccia questo favore e non mi butti fuori dal finestrino… che per la verità ne avevo un po’ voglia… beh, scusa, a me cosa ne viene in tasca?… Che ne so, mi fai uno sconto sul supplemento rapido? Posso sedermi sui posti già prenotati?… Io lo voglio sapere subito… altrimenti, scusami tanto, ma se non me ne viene in tasca niente… io mi butto fuori, che cxxxo mi frega?!”

Il brano è di Gioele Dix ed è stato tratto da Ridono di noi, edito da Mondadori. Personalmente l’ho sempre trovato molto divertente (se avete voglia, guardate in rete il video dell’autore mentre lo recita, è esilarante). Credo sia anche molto istruttivo. In un mondo che è diventato piccolissimo, dove è sempre più facile la libera circolazione di capitali, merci e anche di persone, siamo sempre più spesso sollecitati a confrontarci con modi di pensare differenti dal nostro. In Italia, ad esempio, un lavoratore regolare su dieci è straniero. Se prendiamo in considerazione i lavoratori non qualificati, senza nessun tipo di specializzazione, la percentuale sale al 29%. Nell’assistenza domiciliare agli anziani la percentuale è ancora clamorosamente più alta. Gli stranieri, per lo più donne, sono l’assoluta maggioranza. Le badanti straniere sono diventate parte integrante della vita di moltissime famiglie italiane che devono gestire gli anziani in casa. Senza di loro non sapremmo come fare. Moltissime aziende del profondo nord est sono colme di operai non qualificati extracomunitari. In loro assenza non potrebbero continuare a produrre ricchezza. Questo dato di realtà implica il confronto con altri modi di pensare, di comunicare, d’interagire. Non è solo un problema amministrativo (in molti casi non semplice). È anche un problema di relazione e di comprensione reciproca. Nelle imprese la popolazione HR, insieme con i capi di linea, sono chiamati a quest’opera di “traduzione”, di mediazione culturale. Apparentemente non è considerata un ambito di gestione delle risorse umane, ma nella realtà, in alcune aree geografiche o in particolari tipologie di produzione è diventata una competenza HR fondamentale. Oggi si comincia a porre il problema di creare una nuova leva di responsabili di linea extracomunitari. In prospettiva, questo è un tema di cui non si parla mai, ma che nel mondo delle risorse umane diventerà cogente quanto prima e che richiederà approcci nuovi, strumenti rinnovati e una mentalità aperta e realmente inclusiva.

 

 

 

 

 

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