SI PREGA DI BUSSARE!

 da BLOG di Paolo Iacci

Gregory Bateson, il padre delle teorie sulla “ecologia della mente”, per descrivere i comportamenti schizofrenici delle persone nelle organizzazioni, ricorda un caso clinico: “Sulla porta dello studio di un capo reparto c’è un avviso che dice: Ufficio del Dottore. Si prega di bussare”.

Il dottore rimane dapprima sconcertato ma poi si deve arrendere di fronte ad un paziente che, obbediente, bussa coscienziosamente ogni volta che passa davanti alla porta…”

Analogamente, alla domanda: “Di cosa ha bisogno la nostra azienda per funzionare meglio? Quale caratteristica più di ogni altra ci manca?” ogni lavoratore, di ogni ordine e grado, è oggi unanime nella risposta: “Buon senso.”

Raramente qualcuno dirà che per andare meglio servono idee geniali o doti sovrumane. Tutti invece lamentano la necessità di una maggior dose di semplice buon senso.

Ma cosa è successo? Come è possibile che siano tutti impazziti?! Probabilmente la risposta va cercata altrove: nell’ultimo Rapporto del Censis si cerca di verificare il grado di coinvolgimento medio dei lavoratori italiani. Ciò che emerge è un bassissimo engagement della forza lavoro. Non solo: questo enso di estraneità largamente diffuso è omogeneo, non riguarda, cioè, solo la “bassa manovalanza”. Anche la maggioranza del management non si sente coinvolto in ciò che sta facendo. Di conseguenza, è facile immaginare che nel suo lavoro altro non farà che adottare pedissequamente i comportamenti richiesti, senza metterci alcun “buon senso”, esattamente come quel paziente davanti al cartello dove si pregava di bussare. Chi non si sente coinvolto ed è convinto di dover solo legare l’asino dove vuole il padrone, non userà alcun discernimento nelle sue azioni, ma sarà attento unicamente a farsi percepire come inattaccabile, al di là dei concreti effetti del suo operare. Quelle persone sono un vero pericolo per le imprese. Ma ovviamente non avrebbe alcun senso criminalizzare una percentuale così alta di manager.

Da dove partire allora per risolvere il problema? Credo che sempre più manchi nel nostro Paese “il sogno ad occhi aperti”. La visione condivisa, il fine ultimo: cosa si vuole fare, dove si vuole andare, perché siamo lì a lavorare tutti i giorni, al di là del semplice prendersi lo stipendio. Non deve importare se si è nella grande multinazionale, o in una microimpresa. Ciò che conta è il senso che ognuno di noi trova in ciò che fa, nei suoi sforzi quotidiani. Questa è la base del cosiddetto “buon senso “. Da questo punto occorre partire affinché tutti ricomincino a “mettere la testa in ciò che fanno”, a partire dai vertici e dai capi intermedi. Soldi e benefit, pur importanti, a questo fine non sono determinanti. Se sono pochi determinano malcontento, ma se sono dati in misura equa, da soli non determinano coinvolgimento. Occorre invece far ritrovare gusto in quel che si fa, sentirsi utili e parte fondamentale dell’intero organismo, passione per il mestiere, senso concreto e valore aggiunto nelle azioni di tutti i giorni.

Potremmo dire che questa è davvero una sfida “di buon senso”.

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