LA TRASPARENZA SALARIALE AVANZA IN EUROPA

 da HARVARD BUSINESS REVIEW

La Presidenza della UE e il Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo provvisorio sulle norme in materia di trasparenza retributiva. Gli ambasciatori degli Stati membri presso l’UE dovranno ora approvare l’accordo che sarà seguito dal consueto processo di adozione in seno al Consiglio e al Parlamento europeo. La direttiva UE sulla trasparenza salariale ha l’obiettivo di contribuire a superare il pay gender gap, le differenze retributive tra uomo e donna. In Italia, secondo l’ultima indagine AlmaLaurea, a cinque anni dalla laurea gli uomini percepiscono, in media, circa il 20% in più: tra i laureati di primo livello 1.374 euro per le donne e 1.651 euro per gli uomini; tra quelli di secondo livello rispettivamente 1.438 euro e 1.713 euro. L’indagine riguardo la professione svolta a cinque anni dalla laurea evidenzia come siano soprattutto gli uomini a occupare ruoli a elevata specializzazione, laddove è richiesta almeno una laurea magistrale (61,7% tra le donne e 63,6% tra gli uomini). In ambito industriale, i dirigenti donne sono il 19% del totale (il 28% se si considerano anche i quadri).

Sebbene sia probabile che l’implementazione dell’Accordo non entri in vigore prima del 2024, è utile che i datori di lavoro inizino a lavorare in vista di ciò che verrà loro richiesto:

  • Trasparenza sui livelli retributivi per le aziende con più di cento dipendenti: i lavoratori e i loro rappresentanti avranno il diritto di ottenere informazioni sui livelli retributivi medi dei lavoratori che svolgono lo stesso lavoro, ripartiti per sesso, e i criteri utilizzati per definire le retribuzioni o eventuali aumenti. Le informazioni saranno rese ogni anno od ogni tre anni, a seconda delle dimensioni dell’impresa. Nei casi in cui la comunicazione di informazioni sulle retribuzioni evidenzi differenze tra i generi superiori al 5% e il datore di lavoro non abbia giustificato tale differenza con criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere, si dovrà effettuare una valutazione congiunta delle retribuzioni insieme con i rappresentanti dei lavoratori, con l’obiettivo di ridurre tali differenze retributive.
  • Avanzamento di carriera: le imprese dovranno rendere accessibile ai propri lavoratori una descrizione dei criteri utilizzati per determinare i livelli retributivi e l’avanzamento di carriera dei lavoratori. Questi criteri dovranno essere neutri rispetto al genere.
  • Risarcimento: laddove sussistano elementi che possano far pensare a discriminazioni, i lavoratori avranno il diritto di chiedere un risarcimento. Gli organi giurisdizionali preposti potrebbero agire poi in tal senso e richiedere misure per rispettare il principio della parità retributiva.
  • Inversione dell’onere della prova: i deputati europei hanno riaffermato la proposta della Commissione europea di invertire l’onere della prova nelle rivendicazioni sulla parità retributiva. Nei casi in cui un lavoratore ritenga che il principio della parità di retribuzione non sia stato applicato e porti il ​​caso in tribunale, la legislazione nazionale dovrebbe obbligare il datore di lavoro a dimostrare che non vi è stata discriminazione.
  • Trasparenza sui livelli retributivi offerti: come già avviene in molti Paesi, le inserzioni di lavoro dovranno indicare il livello retributivo offerto. I candidati dovranno essere ragguagliati sulle condizioni di lavoro senza doverle richiedere. Inoltre, durante l’iter di selezione, le imprese non potranno chiedere ai candidati quanto sono pagati nel loro ruolo attuale (o nei ruoli precedenti). Questo con l’obiettivo di non perpetuare in sede di assunzione le disparità di genere pregresse.

Come abbiamo premesso, l’iter legislativo non è ancora giunto al termine ed è possibile l’introduzione di alcune modifiche, ma l’accordo politico in tal senso è già stato ufficialmente raggiunto come comunicato dal Consiglio UE in data 15 dicembre 2022. Molte sono le considerazioni che si potrebbero fare in un senso o nell’altro. Per un verso si spinge verso una doverosa parità retributiva di genere e una maggiore sostenibilità ESG delle imprese, d’altro lato si potrebbe obiettare di voler imbrigliare la gestione aziendale, col rischio di ridurla a un insieme di meccanismi burocratici non in grado di premiare le performance outstanding. In ogni caso, è bene che i datori di lavoro si organizzino sin d’ora per  le novità che si stanno profilando nella gestione delle risorse umane nelle organizzazioni.

Paolo Iacci, Presidente Eca Università Statale di Milano

 

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