Alle 5:30 il silenzio del quartiere è rotto dal suono del coltello che affetta il tonno. L’uomo che sta lavorando ha quasi cent’anni, ma lo sguardo è quello di chi ripete ogni gesto con precisione e amore. È Jiro Ono, lo chef che ha reso il sushi un’arte e che non intende mai andare in pensione.
Il 27 ottobre 2025 Jiro Ono compirà cent’anni. Il suo ristorante, il celebre Sukiyabashi Jiro di Tokyo, è stato il primo locale di sushi al mondo a ottenere tre stelle Michelin. Ma più che un primato gastronomico, la sua storia è diventata un simbolo di dedizione assoluta al proprio mestiere. Ogni mattina, da decenni, Jiro arriva all’alba, controlla il riso, affila i coltelli, sceglie il pesce con la cura di un artigiano che non lavora per routine ma per senso.
La sua non è soltanto una storia di eccellenza professionale, ma un esempio vivente di ciò che in Giappone si chiama ikigai – la “ragione d’essere” che dà significato alla vita. Non una parola di moda, ma una filosofia antica che unisce passione e disciplina, piacere e responsabilità, sogno e realtà.
Negli ultimi anni, il discorso pubblico e mediatico ha spesso esaltato la passione come chiave del successo. “Fai ciò che ami e non lavorerai un solo giorno della tua vita” è diventato uno slogan virale, ma ingannevole. Non tutti i lavori consentono di “seguire la passione” in senso stretto e, soprattutto, non tutti i mercati offrono opportunità coerenti con i desideri individuali.
Molti giovani si trovano oggi sospesi tra un’educazione che li ha incoraggiati a “realizzarsi” e un mercato del lavoro che chiede competenze tecniche, flessibilità e pragmatismo. Il risultato è una crescente dissonanza tra aspettative e realtà, che alimenta insoddisfazione, precarietà e fuga di talenti. Occorre seguire non il principio del piacere, ma il principio di realtà. Perché fuori dal principio di realtà c’è solo la follia.
Seguire il principio di realtà non significa rinunciare ai propri sogni, ma saperli tradurre in progetti sostenibili. Il lavoro del futuro non sarà quello che più ci piace, ma quello che sapremo rendere nostro attraverso l’apprendimento continuo, l’adattamento e la capacità di costruire valore per gli altri.
Il principio di realtà, in questo senso, è una competenza trasversale: implica la conoscenza del mercato, l’analisi delle tendenze, la capacità di orientare le proprie passioni verso ambiti in crescita o in trasformazione. È una forma di maturità professionale che consente di coniugare autenticità e occupabilità.
La cultura giapponese offre una chiave di lettura preziosa per comprendere come conciliare passione e pragmatismo: il concetto di ikigai, letteralmente “ragione d’essere”. L’ikigai non è un ideale astratto, ma un principio di equilibrio che unisce il piacere personale e la funzione sociale del lavoro, la dimensione del senso e quella della sostenibilità economica.
Secondo la visione tradizionale, ogni persona trova il proprio ikigai nell’intersezione di quattro cerchi fondamentali: ciò che ama fare, ciò in cui è brava, ciò di cui il mondo ha bisogno e ciò per cui può essere pagata. È nel punto di incontro tra questi elementi che si colloca la vera realizzazione professionale e umana.
Molti giovani, oggi, si fermano ai primi due cerchi — ciò che amano e ciò che sanno fare — trascurando gli altri due: la domanda reale e la sostenibilità economica. Ma un progetto di vita fondato solo sulla passione o sul talento personale rischia di restare incompiuto se non trova una risposta nel contesto in cui si colloca. È proprio l’incontro con la realtà – con le sue richieste, i suoi limiti e le sue opportunità – a dare forma concreta al sogno.
L’ikigai, in fondo, non invita a scegliere tra passione e realtà: invita a metterle in dialogo. Non basta “seguire ciò che ami”, come suggerisce una certa narrativa occidentale. Serve anche comprendere come ciò che ami possa diventare utile agli altri, generare valore, essere riconosciuto e retribuito. Solo così la passione si trasforma in una forza costruttiva e non in una frustrazione.
In questo senso, l’ikigai coincide con un principio di responsabilità personale: la felicità non è l’assenza di vincoli, ma la capacità di trovare armonia dentro i vincoli del reale. La libertà, dunque, non sta nel fare qualunque cosa si desideri, ma nel saper dare forma a un desiderio possibile, tenendo conto del contesto economico, delle proprie competenze e dei bisogni emergenti della società.
È un messaggio particolarmente attuale per una generazione che vive in un mondo fluido, dove i percorsi professionali non sono più lineari e dove la sicurezza dipende sempre meno dal titolo di studio e sempre più dalla capacità di apprendere, reinventarsi e dare senso al proprio lavoro. Ritrovare il proprio ikigai significa allora non tanto “trovare la vocazione giusta”, quanto costruirla nel tempo, con consapevolezza e disciplina, nella continua ricerca di equilibrio tra desiderio e realtà.
L’obiettivo non deve essere la contrapposizione tra passione e realismo, ma la loro integrazione. Le passioni possono diventare leve di sviluppo se vengono ricondotte dentro un quadro strategico: comprendere quali competenze servono, quali settori offrono spazio, quali nuovi ruoli stanno emergendo con l’intelligenza artificiale, la sostenibilità o la trasformazione digitale.
Le imprese, da parte loro, dovrebbero aiutare i giovani in questo processo di allineamento, investendo su orientamento, formazione mirata e mentoring. Perché non c’è nulla di più motivante di una passione che incontra un bisogno reale.
Forse è proprio questo il messaggio più profondo dell’ikigai: la felicità non nasce dall’inseguimento del piacere, ma dalla continuità del senso.
Come Jiro Ono, che a cento anni continua a tagliare il tonno con la stessa dedizione di un apprendista, non perché costretto, ma perché in ogni gesto riconosce un frammento di sé.
La sua è una lezione semplice e radicale: non serve cambiare il mondo per trovare significato, basta far bene ciò che si fa, ogni giorno, con attenzione, rigore e amore.
È in questa fedeltà al proprio mestiere, più che nella ricerca di una passione astratta, che si compie il vero incontro tra desiderio e realtà.
E forse è proprio lì — nella ripetizione del gesto, nella cura del dettaglio, nella consapevolezza del limite — che si trova la forma più umana e profonda della realizzazione: il proprio ikigai.
Paolo Iacci, Presidente ECA, Università Statale di Milano
