VALUTAZIONE DEL POTENZIALE. DI CHI?

 da HR ONLINE

Un tale entra in un supermercato e nota una bella signora che lo fissa in continuazione. Finalmente lui si fa coraggio e le chiede:
– “Scusi, forse ci conosciamo?”
– “Credo che lei sia il padre di uno dei miei bambini”
Lui ci pensa su un minuto poi decide che forse questo bambino di cui lei parla sia il risultato dell’unica volta che lui tradì la moglie.
– “Sei tu la stripper che saltò fuori dalla torta alla festa d’addio al celibato del mio miglior amico, cinque anni fa? Quella con cui feci sesso sul tavolo del ristorante, davanti a tutti, mentre la tua amica mi frustava le natiche scoperte?”
– “No, io sono la maestra di suo figlio”.

Uno scambio di persona talvolta può succedere. Sarebbe però meglio evitare. Eppure, vi sono molti HR che, da alcuni anni a questa parte, sembrano sottovalutare questo rischio. Mi spiego meglio. La valutazione del potenziale è una pratica gestionale che ormai si è molto diffusa. Test, case study, questionari, assessment, incontri con esperti e così via si susseguono per capire chi può fare carriera, chi assegnare a determinati ruoli, chi licenziare e così via. Sono temi importanti. Per questo motivo le aziende in molti casi non si fidano solo del feedback del capo diretto e chiedono a professionisti esperti un parere terzo. Questa pratica si scontra però con i tempi delle imprese, sempre più ristretti e, soprattutto, con i budget a disposizione, mai sufficienti.

E allora che fare?

Semplice, economizziamo tempi e risorse. Facciamo fare i test da casa, nei ritagli di tempo, e i colloqui da remoto, talvolta persino solo al telefono. Così possiamo spendere poco e coinvolgiamo più persone. Così potremo dimostrare di essere più efficienti. Più persone coinvolte, meno soldi spesi.

Mi sorge, però, un dubbio: il test da casa chi l’ha compilato?! La maestra di suo figlio o la stripper della torta?! Il case study è stato affrontato dal nostro collaboratore o da un team di amici esperti che suggerivano da dietro lo schermo del pc?!

Il rischio è che, pressati dalla necessità o dall’ambizione di fare molte cose con pochi soldi, si perda in professionalità e in etica. Dobbiamo ricordarci che alcune cose possono essere effettivamente fatte da remoto, ma non tutte. E non sempre. Prima di procedere in tal senso occorre fare una cernita degli strumenti precisa e consapevole, basata sui fatti e sull’esperienza di veri professionisti, non di chi vuol solo vendere a tutti i costi.

Talvolta meglio fare poche cose ma fatte bene. Soprattutto quando si tratta del destino delle persone.

 

 

 

 

 

 

Paolo Iacci, Presidente Eca, Università Statale di Milano

 

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