LE PAROLE DELL’ANNO

 da HR ONLINE

Giorgio ed Enrico, due amici  d’infanzia, si incontrano dopo tanto tempo, forse un anno. Per entrambi è stato un anno difficile, complesso da tanti punti di vista, personali e professionali.

–       Ciao, come va?
–       Eh! E tu?
–       Anch’io!
–       E gli affari?
–       Mah! E tu?
–       Anch’io!
–       Tua moglie?
–       Ah… E tu?
–       Lo stesso!
–       E i figli?
–       Oh… E tu?
–       Lo stesso!
–       Stammi bene allora, mi raccomando!
–       Stammi bene anche tu! Aveva davvero ragione Freud. Se uno parla, gli si alleggerisce il cuore…

Le donne sono molto più abituate degli uomini ad aprirsi e ad ascoltare le proprie emozioni, a condividerle e a saperle guardare, talvolta fin troppo. Gli uomini devono ancora imparare molto su questo. Ma non è questo di cui vi voglio parlare, a proposito delle parole. Ad ogni inizio anno si cercano di cogliere le tendenze del sentire comune indagando sulle parole che meglio si prestano a sintetizzare l’anno passato. Varie organizzazioni culturali lo chiedono ai loro lettori. È successo anche quest’anno e ciò che emerge è la percezione sintetica di ciò che ha caratterizzato il periodo appena trascorso. Authentic, la parola indicata dal dizionario Merriam Webster sulla base delle ricerche dei suoi lettori in riferimento alla necessità di verità in un mondo dominato dalla rete, hallucinate quella scelta dal dizionario Cambridge in riferimento agli abbagli in cui ogni tanto cade l’intelligenza artificiale. Intelligenza artificiale, la parola scelta dal dizionario Collins, GPT (Generative Pre-trained Transformer) quella indicata dall’Università di scienze Applicate di Zurigo. La Treccani ne ha individuate diverse: underdog e armocromia vengono dalla politica, famiglia queer e oblio oncologico dal dibattito civile e sociale. Come si vede, solo la Treccani sembra ricordarsi dell’uomo, mentre il resto del dibattito è dominato dagli effetti della tecnica che domina l’essere umano. La techne nasce, in origine, come insieme di conoscenze atte a dirigere l’agire umano, venendo poi a indicare, nello specifico, gli strumenti utili ad aiutare l’uomo, là dove le sue qualità fisiche erano insufficienti o non abbastanza sviluppate. Nel corso dei secoli, l’uomo ha potenziato sempre di più questi suoi strumenti alla ricerca di una maggiore autonomia dalla natura e di un potenziamento personale. Tuttavia, questi mezzi, nati per aiutare l’uomo e per assecondare il suo operato, nel corso del tempo hanno finito per prendere il sopravvento, venendo a costituire piuttosto il fine dell’agire umano. L’uomo, sempre di più, ha iniziato a vedere nella precisione del calcolo lo strumento fondamentale che sembrava aprirgli le porte alla conoscenza di tutto l’universo e, successivamente, anche il potere di dominare e controllare la natura e il mondo nel quale si trova a vivere. Ma alla fine, e forse senza accorgersene, per rendersi libero e per elevarsi a signore dell’universo si è reso schiavo della sua creazione. La tecnica non è più un semplice strumento, ma è arrivata a costituire il nostro mondo; la nostra è la civiltà della tecnica. Che ne è dunque oggi dell’uomo? Quando il mezzo diventa fine l’uomo rischia di essere annientato. Lo vediamo anche nel sentimento di estraniamento che molte volte riscontriamo nelle persone sul luogo di lavoro. Molti sembrano ingaggiati e lavorano molto, ma poi denunciano un malessere diffuso, una sensazione di stanchezza non ben precisata, una lontananza dal lavoro e una richiesta di socialità autentica che non notavamo fino a non molto tempo fa. Le persone cercano di riappropriarsi della loro integrità più intima e, quando hanno la sensazione di non riuscirci, scappano. Molte dimissioni spontanee e molta voglia di cambiamento sono spiegabili con categorie che prescindono la singola situazione lavorativa. Alle imprese il compito, estremamente complesso, di creare un ambiente di lavoro che dia riscontro a questa urgenza di socialità senza venire meno ai vincoli di produttività che caratterizzano i mercati in cui viviamo.

 

 

Paolo Iacci, Presidente Eca, Università Statale di Milano

 

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