PERCHE’ A NESSUNO PIACE LA MEDAGLIA D’ARGENTO

 da HARVARD BUSINESS REVIEW

Il dott. Ferrari e l’avv.  Russo devono partire per un importante viaggio d’affari. Entrambi si devono recare allo stesso aeroporto perché devono prendere due diversi voli in partenza dallo stesso scalo allo stesso orario. Entrambi prendono un taxi e si ritrovano imbottigliati in un blocco del traffico imprevisto. Entrambi arrivano in aeroporto nello stesso momento, con trenta minuti di ritardo. A Ferrari viene comunicato che il suo volo è partito in orario, mentre a Russo che il suo volo è partito con 25 minuti di ritardo.

Entrambi hanno perso l’aereo, ma Russo è molto più contrariato di Ferrari. Egli è vittima dello stesso meccanismo psicologico che è stato notato confrontando lo stato d’animo di chi arriva secondo rispetto a chi arriva terzo ad una gara. Chi ha vinto la medaglia d’argento, in genere, è molto più triste di chi ha ottenuto la medaglia di bronzo, perché tende a confrontarsi con chi è arrivato primo. Chi è arrivato terzo, invece, si confronta più facilmente con chi non ha ottenuto alcuna medaglia. Il secondo arrivato è vittima del pensiero controfattuale, che consiste nell’immaginare scenari o situazioni alternative che sarebbero potuti accadere, ma non sono accaduti.

Con questo processo ripercorriamo ciò che è stato e lo ricostruiamo per come avrebbe potuto essere se solo noi avessimo operato scelte differenti. Ogni più piccola nostra scelta può aver determinato un risultato che è solo stato sfiorato, ma non raggiunto. Questa modalità di pensiero è spesso accompagnata da quella sorta di rincrescimento, amarezza e disappunto che sentiamo ogniqualvolta ci accorgiamo che avremmo potuto ottenere un miglior risultato se avessimo agito diversamente. Ciò che rende più intensa la reazione emotiva è la facilità con cui le varie possibilità alternative riescono ad essere immaginate da parte dell’individuo. Se solo il tassista avesse accelerato un poco di più, se solo fosse passato con il giallo a quel semaforo invece che fermarsi e così via. Il pensiero controfattuale va ad influenzare il nostro comportamento quotidiano, le nostre relazioni e la percezione che abbiamo delle scelte altrui.

L’esempio che ho citato come incipit di questo articolo è quello usato dal Premio Nobel Daniel Kahneman e da Amos Tversky per introdurre il pensiero controfattuale. Questo non solo determina a posteriori la percezione delle scelte operate, ma agisce anche nel momento in cui dobbiamo prendere una decisione, perché siamo portati ad immaginare come ci sentiremmo se scoprissimo che avremmo fatto meglio a scegliere un’alternativa diversa. Il pensiero controfattuale, tramite la sua anticipazione, agisce quindi anche nella fase di valutazione delle alternative, diventando determinante sulla nostra capacità di scelta. Max Bazerman e Deepak Malhotra della Harvard Business School avevano analizzato lo stato d’animo dei secondi e terzi arrivati già nelle Olimpiadi del 1992. Oggi questi studi tornano all’attenzione degli studiosi di gestione delle risorse umane perché lo skill shortage impone che non si buttino via i talenti individuati nei processi di recruiting e selezione.

Facciamo il caso di due candidati arrivati in finale in un processo di selezione. Probabilmente si equivalgono, entrambi sarebbero ottimi per la posizione vacante. Uno dei due, però, è semplicemente apparso un po’ più smart al colloquio finale e, dovendo fare una scelta, vince quest’ultimo. Il candidato prescelto, dopo aver dato le dimissioni dalla sua azienda, ci ripensa e accetta il rilancio dell’azienda di appartenenza. Per l’azienda che lo voleva assumere sarebbe senza alcun dubbio utile ed economico assumere il secondo arrivato. Come ogni head hunter vi potrà dire, questo non accade quasi mai. Nella grande maggioranza dei casi, la selezione è da rifare. Il secondo arrivato ha vissuto la sconfitta come un rifiuto e ha “usato” il pensiero controfattuale per giustificare la sconfitta. Come nella favola di Fedro della volpe e l’uva, l’occasione non gli appare più così interessante. Analogo ragionamento vale anche per l’azienda, che tende a non considerare più il “silver medalist”, anche se era arrivato secondo solo per una sfumatura. E così si riparte da zero. Un vero peccato.

 

 

 

Paolo Iacci, Presidente Eca, Università Statale di Milano

 

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