TALENT SCARCITY. COSA STANNO FACENDO LE IMPRESE ITALIANE?

 da HR ONLINE

TALENT SCARCITY. COSA STANNO FACENDO LE IMPRESE ITALIANE?

La fiducia è una cosa seria. Firenze, una signora col neonato in braccio entra dentro il negozio del proprio macellaio di fiducia:

– Carlo che mi peserebbe per favore el mi’ figliolo? –

– Come no, signora, a me il pargolo –

Il macellaio prende il neonato, lo adagia delicatamente sopra la bilancia e: – Ecco qua, el sù figliolo pesa, pesa, pesa, esattamente 4 chili e 150 grammi! Lascio?

Il Talent Trends Report di Randstad 2023 contiene un’interessante indagine sui top manager delle risorse umane in 18 Paesi del mondo, tra cui l’Italia. Da questa indagine vi sottopongo alcune dati che mi sembrano interessanti: il primo elemento degno di nota è che le imprese italiane sembrano più attente all’attraction di talenti che non alle iniziative di retention.

Secondo l’indagine, infatti, il 94% dei responsabili HR italiani afferma che, nel 2023, manterrà o aumenterà gli investimenti per l’employer branding, ma solo il 23% sostiene di aver potenziato le condizioni per trattenere i collaboratori.

Il 75% di loro dà oggi maggiore importanza rispetto al passato alle competenze e al coinvolgimento dei dipendenti, ma solamente il 14% sta investendo in piattaforme di formazione per trattenere i talenti.

Poco meno del 70% dei direttori HR italiani considera centrali le attività di Inclusione, ma il 39% di loro teme che saranno meno prioritarie nel 2023. Sostenere politiche di inclusione e sostenibilità sicuramente consente di essere percepiti dai più giovani come imprese interessanti, ma il 58% dei responsabili HR teme che la sostenibilità possa avere un impatto negativo sulla redditività e il 56% che l’azienda possa considerarla meno prioritaria in caso di crisi economica. Infine, il 42% degli intervistati afferma che la trasformazione digitale si sta muovendo troppo velocemente, al punto da non riuscire a stare al passo con le implicazioni che questa comporta.

Un ulteriore elemento: il 29% ha dovuto diminuire gli organici e il 23% ha offerto a contorno servizi di outplacement. Non sappiamo se quel 29% ha diminuito gli organici solo per una diminuzione degli utili rispetto alle attese o per reali e concreti problemi di sopravvivenza dell’azienda. Né se la politica dei bonus per il top management sia stata bloccata in concomitanza di questo evento. Eppure, questo elemento è fondamentale per capire se l’impresa mantiene la propria attrattività anche nei confronti  dei colleghi delle persone allontanate.

Come si nota, un’indagine con luci e ombre. Come per ogni survey di questo tipo, i dati vanno presi con beneficio d’inventario. Ogni azienda fa storia a sé e generalizzare è sempre fuorviante. Pur tuttavia, è utile leggere questi dati per ragionare su se stessi e verificare quanto ci si rispecchia in questi trend e quanto invece si è lontani. Da parte mia voglio fermare l’attenzione solo su un aspetto. Quello della coerenza. Ogni persona che ha una lunga storia nel mondo delle risorse umane si è trovata a gestire situazioni up e down. È nelle cose. L’importante è la trasparenza, l’eticità e la coerenza dei comportamenti con cui le diverse operazioni vengono condotte. Le persone non si allontanano dalle imprese quando queste hanno un momento di difficoltà, ma quando non si sentono valorizzate o quando hanno la sensazione di essere trattate con poco rispetto e mancanza di coerenza. In questo mesi stiamo assistendo a bonus multimilionari per il top management che spinge verso tagli lineari degli organici. Come possiamo pensare che i colleghi delle persone allontanate potranno nel prossimo futuro dare credito a quei top manager?!

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