ELOGIO DELLA MITEZZA

 da HARVARD BUSINESS REVIEW

Sono passate ormai alcune settimane, ma il ricordo dell’incidente diplomatico tra Erdogan e la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, continua a pesare sui rapporti tra Turchia e UE. Il mondo occidentale si è levato contro il gesto discriminatorio e lo sgarbo istituzionale di Erdogan. Sul significato dell’incidente credo sia già stato scritto molto. Vorrei però fare una considerazione aggiuntiva sul comportamento della Presidente. Ursula von der Leyen avrebbe potuto avere reazioni assai più veementi, ma ha preferito tenere un tono basso e lasciar parlare i fatti. Mentre l’incidente era in corso, lei non ha proferito parola, limitandosi a guardare i due uomini seduti stando in piedi. Il giorno dopo ha dichiarato di essersi sentita “sola”, come Presidente, come donna e come europea. Non ha avuto bisogno di alzare la voce: la dignità, la fermezza e la mitezza della Presidente della Commissione europea ha spinto affinché il coro di proteste si levasse unanime.

Nel 1993 Norberto Bobbio ha pubblicato un bellissimo scritto, Elogio della mitezza, che varrebbe la pena rileggere. In quello scritto Bobbio enuclea i requisiti della mitezza attraverso la distinzione tra virtù forti e virtù deboli. Le virtù forti sono quelle pubbliche, solitamente appannaggio dei potenti: fermezza, audacia, lungimiranza, clemenza e generosità. Le virtù deboli sono quelle private: umiltà, modestia, moderazione, sobrietà, temperanza, innocenza, ingenuità, dolcezza, mitezza.

“Opposte alla mitezza sono l’arroganza, la protervia, la prepotenza, che sono virtù o vizi, secondo le diverse interpretazioni dell’uomo politico. La mitezza non è una virtù politica, anzi è la più impolitica delle virtù. In un’accezione forte della politica, nell’accezione machiavellica o, per essere aggiornati, schmittiana, la mitezza è addirittura l’altra faccia della politica…. Nella lotta politica, anche in quella democratica, e qui intendo per lotta democratica la lotta per il potere che non ricorre alla violenza, gli uomini miti non hanno alcuna parte. I due animali simbolo dell’uomo politico sono – ricordate il cap. XVIII del Principe – il leone e la volpe. L’agnello, il “mite” agnello, non è un animale politico: se mai è la vittima predestinata, il cui sacrificio serve al potente per placare i demoni della storia”[1].  Come ha avuto modo di sottolineare Gustavo Zagrebelsky, nel suo Il diritto mite, ([2]) la “mitezza costituzionale”, associata alla coesistenza e al compromesso, rimanda ad un’idea inclusiva della politica e della coesistenza civile, al contrario di quella “esclusiva” di Thomas Hobbes e più recentemente di Carl Schmitt. Il mite è colui che “lascia essere l’altro quello che è” e, al contrario del prepotente, desidera esprimere se stesso non a scapito dell’altro. La mitezza, poi, non va confusa con la modestia o con l’essere pavidi o rinunciatari. Ursula, in questa occasione, si è mostrata mite, ma ferma, pacata, ma determinata, tollerante, ma coraggiosa, esplicita, ma non polemica. Insomma, una vera leader.

Purtroppo, la letteratura manageriale è abituata ad indicare tra le virtù del leader solo quelle indicate da Bobbio come “forti”. Il “debole” non può dirigere alcunché: sembra che tolleranza, mitezza, moderazione e temperanza non debbano far parte del tratto distintivo del manager leader. Il riferimento è sempre e solo Il Principe di Machiavelli e mai anche L’educazione del principe cristiano di Erasmo da Rotterdam. Io credo che il motivo sia nel fatto che questo testo introduce le virtù deboli nel bagaglio indispensabile del buon capo. Nella letteratura manageriale il mercato è sempre e solo descritto come un campo di battaglia, dove i riferimenti sono Sun Tzu o Karl von Clausewitz. Sembrerebbe che nel mondo degli affari le virtù deboli non possano avere cittadinanza. Eppure ne hanno, e molta, nella vita civile e sociale.

[1] N. Bobbio, Elogio della mitezza, Edizioni dell’asino, Roma, 2018

[2] G. Zagrebelsky, Il diritto mite, Einaudi, Torino 1992

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