IN MEMORIA DI UN EROE
«Ero al terzo piano, vicino al suo ufficio. Abbiamo sentito l’esplosione. Il sindaco in quel momento non era nella sua stanza, non so dove fosse. L’ho visto venire verso di noi e urlare: correte, scappate, chiamiamo i soccorsi, le ambulanze. Andate via, ripeteva», racconta un dipendente. E lui stava lì, gli abiti e il viso sporchi di polvere delle macerie, invece di cercare l’uscita cercava gli altri, i suoi collaboratori, gli impiegati del Comune. E fino a quando non sono usciti tutti, lui è rimasto tra il fuoco e i calcinacci.
Alla fine, è stato tratto in salvo anche lui, per ultimo. Aveva il volto e tutto il corpo bruciati. Ricoverato al reparto grandi ustionati dell’Ospedale Sant’Eugenio di Roma, è stato tra la vita e la morte per dieci giorni ma alla fine il fisico, stremato, non ha retto.
Gli eroi non sempre conquistano le prime pagine. Il più delle volte vengono presto dimenticati. Credo sia giusto ricordare un eroe velocemente dimenticato, ma che ha salvato la vita a molte persone.
Siamo un Paese incattivito, ma non del tutto, non in tutti. La politica nella percezione collettiva è associata il più delle volte a elementi negativi, ma c’è anche chi ne ha fatto un servizio rivolto al bene comune. Con un coinvolgimento emotivo tale da fargli sacrificare la vita.
A un anno di distanza, credo sia giusto ricordare questo eroe oscuro, perché può essere d’ispirazione anche per chi lavora nelle organizzazioni. Perché i leader devono avere memoria e devono sapere, come diceva Marchionne, che la leadership è prima di tutto un privilegio, un onore che va meritato. Nelle azioni, giorno per giorno. In quelle grandi come nelle piccole.
Viene in mente ciò che avviene alla mensa dei marines: qui gli ufficiali mangiano per ultimi, dopo i soldati. E quello che in mensa è un gesto simbolico, in battaglia diventa un fatto essenziale: i leader sono pronti a sacrificare i propri vantaggi per il bene di chi è affidato alle loro decisioni e alle loro cure. Questo patto permette di mettersi in gioco nella certezza che gli altri, se necessario, faranno lo stesso per loro e crea un “cerchio di sicurezza”, che mette al riparo il team rispetto a tutte le sfide esterne e li fa assumere maggiori rischi, seguendo un bisogno fondamentale della nostra specie.