2+2=5

 da Harvard Business Review

Bertrand Russell stava spiegando in classe come da una proposizione falsa possa derivare qualsiasi cosa a piacere (l’antico motto latino ex falso sequitur quodlibet). Uno studente invitò Bertrand Russell a dare una dimostrazione logica di questo enunciato:

Studente: “Partendo da 2 + 2 = 5, dimostri di essere il Papa”.

Bertrand Russell: “Supponiamo che sia vera un’affermazione falsa come 2 + 2 = 5. Se sottraggo il numero 3 da entrambi gli elementi di questa equazione, otteniamo: 1=2. Ora, io e il Papa siamo due, ma 2=1 e quindi io sono il Papa”.

Dobbiamo stare attenti a come argomentiamo le nostre tesi perché rischiamo di indebolirle e questo vale anche per chi si occupa di gestione delle risorse umane. Facciamo un caso concreto, anche se differente da quello dell’esempio iniziale.  Lo scorso agosto, a Tokyo, Microsoft ha provato a ridurre la settimana lavorativa a quattro giorni. La stampa si è precipitata a sottolineare come la produttività sia salita del 40%, stabilendo tra i due eventi un nesso di causalità. Lo stesso è avvenuto poche settimane fa con un analogo esperimento della Toyota.

Personalmente credo che le tecnologie e il progresso, prima o poi, determineranno la possibilità di diminuire le ore lavorate. Proprio perché sono convinto di questo, non posso non notare la debolezza scientifica dell’affermazione che stabilisce un rapporto di causalità diretta tra diminuzione dell’orario di lavoro e incremento della produttività.

Forse andrebbe ricordato il cosiddetto “effetto Hawthorne”. Con questo termine si indica l’insieme delle variazioni di un fenomeno, o di un comportamento, che si verificano per effetto della presenza di osservatori, ma che non durano nel tempo. Nel 1927 presso lo stabilimento della Western Electric di Hawthorne, Chicago, Elton Mayo e Fritz J. Roethlisberger provarono a verificare  una possibile relazione tra ambiente di lavoro e produttività dei lavoratori. I  ricercatori, dopo alcuni anni trascorsi in fabbrica, si resero conto che gli operai producevano di più non per le variazioni apportate alle condizioni di lavoro (illuminazione, durata delle pause e delle giornate lavorative, retribuzione ecc..), ma perché si rendevano conto di essere oggetto di attenzione ed era questo a motivarli.

La correlazione tra due variabili è condizione necessaria ma non sufficiente per determinare un nesso di causalità tra loro. George Udny Yule già nel 1926 aveva notato una correlazione positiva tra tasso di matrimoni religiosi e tasso di mortalità. Ovviamente questo non vuol dire che sposarsi significhi morire anticipatamente! Aveva anche notato come il numero di matrimoni sia correlato con la presenza di rondini nel cielo. I due fenomeni non sono legati da causa ed effetto, ma dal fatto che avvengono nelle stesse stagioni: la primavera e l’inizio dell’autunno.

Chi dirige delle organizzazioni prende tutti i giorni delle decisioni pur in assenza di certezze scientifiche. Ad esempio: spesse volte nella letteratura manageriale si afferma che i piani di welfare aziendale determinano una migliore performance d’impresa, sulla base di ricerche che evidenziano una correlazione tra queste due variabili in termini causali e impropriamente ne deducono un rapporto causale. Siamo però sicuri che non sia invece vero l’opposto e cioè che le imprese con buone performance abbiano la possibilità di essere più attente al mutare della sensibilità sociale e siano più abituate a cogliere tutte le possibilità di risparmio e d’interazione positiva con i propri collaboratori e quindi inseriscano dei piani di welfare aziendali?! Personalmente sono molto favorevole all’avvio di queste iniziative per molti motivi, anche se non possiamo collegare sic et simpliciter questi a buone performance aziendali perché le variabili che intervengono a determinarle sono moltissime e differenti tra loro.

Lasciamo quindi le certezze scientifiche alle scienze esatte ed accontentiamoci di cercare di operare al meglio nell’agone del mercato. D’altro canto, esattamente questa è l’essenza del lavoro manageriale: decidere in condizioni d’incertezza. Fare ricerca e studiare quanto più possibile è fondamentale perché si minimizza la possibilità dell’errore, ma poi è necessario sapersi prendere la responsabilità delle proprie scelte, che saranno molto spesso discutibili perché prese, nostro malgrado, in assenza di dati certi ed inconfutabili.

 

 

 

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