DEPONENZA E LEADERSHIP. O, DEL PORCOSPINO DI SCHOPENHAUER

 da HARVARD BUSINESS REVIEW

Chi ha studiato latino e greco sa che in queste lingue antiche c’era il metodo attivo, quello passivo e quello chiamato deponente. Nella grammatica latina, i verbi deponenti hanno forma passiva ma con significato attivo. Apparentemente la forma deponente sembra una bizzarria linguistica ma a ben vedere non è così. Nella maggioranza delle situazioni della vita quotidiana, infatti, tutti noi ci troviamo in una condizione intermedia tra attivo e passivo, rappresentata proprio dalla deponenza. Ognuno di noi è quello che è grazie alle sue forze, alla sua determinazione e alle sue qualità, ma è anche frutto di ciò che è venuto prima e di ciò che gli sta attorno. Nessuno può davvero affermare di essere l’unico artefice di sé stesso. Ognuno di noi, se non vuole rischiare di cadere in un delirio di onnipotenza, deve essere consapevole che le sue capacità di azione e di autoaffermazione non possono non trovare dei limiti.

È il famoso dilemma del porcospino di Schopenhauer. In una fredda giornata d’inverno un gruppo di porcospini decide di stringersi insieme per trovare calore. Ma, man mano che si avvicinano gli uni gli altri, i porcospini cominciano a pungersi a vicenda. Ecco che allora diventa necessario allontanarsi. Poi provano a stringersi di nuovo per sopportare meglio il freddo, ma ricominciano a pungersi. Con questo breve apologo il filosofo Arthur Schopenhauer riflette sulla difficoltà del vivere in gruppo e di mantenere la giusta distanza nei rapporti con le persone per non ferirsi l’un l’altro. La parte “attiva” di ogni singolo porcospino deve confrontarsi con quella del vicino, deve venire quindi a patti con la sua parte “passiva”. In altre parole, per stare al caldo senza pungersi deve imparare a essere “deponente”.

Analogamente il leader non può pensare di essere sempre e solo lui al centro del suo piccolo universo. Ma quello che forse è più semplice sul mercato esterno è nei fatti meno ovvio sul fronte interno, dentro l’organizzazione. È su questo versante che spesse volte si stenta a vedere il carattere deponente dei leader. Cresciuti alla scuola del decisionismo e della necessità dell’azione, molte volte fanno fatica ad ascoltare in modo attivo e a riflettere prima di decidere. Poiché, però, le organizzazioni si stanno sempre più caratterizzando per essere entità con un forte tasso d’interazione lungo tutta la catena del valore, sia al proprio interno, sia con il mondo esterno, questo tipo di atteggiamento verso l’interno molte volte si riflette anche sull’esterno, contribuendo a dare un’immagine opaca del leader troppo preso dal furore decisionista.

Se pensiamo ora alla maggior parte della letteratura sulla leadership noteremo che in molti casi elenca una serie di comportamenti desiderati tutti basati sulla sua parte “attiva” e assai poco su quella “passiva”.  Il leader convinto che tutta l’azienda debba girare intorno a sé può divenire prepotente e rischia di gestire l’organizzazione in modo un poco paranoico, perdendo in efficacia e determinando scontento e demotivazione nei suoi collaboratori. Purtroppo, le personalità narcisistiche o arroganti sono frequenti tra chi dirige le organizzazioni e questo va a detrimento loro e dell’efficacia della loro attività.

Altrettanto negativo è l’atteggiamento opposto. Chi, al contrario, annichilito dalla complessità del mondo attorno a sé, non esercita fino in fondo il suo ruolo e così blocca l’organizzazione non decidendo, posponendo la soluzione dei problemi, perdendo anch’esso in efficacia e generando altrettanto scontento e demotivazione. In questo caso si rifugge dalla prepotenza ma si sconfina nell’impotenza, causando altrettanti problemi.

Siamo allora andati su Google alla ricerca delle skill che un buon leader deve avere secondo la vulgata comune. Una pur rozza analisi linguistica su una cinquantina di articoli sul tema può facilmente rivelare come i verbi utilizzati per descrivere il perfetto leader siano tutti di carattere “attivo”. Il numero 1 dovrà infatti “condurre”, “guidare”, “dirigere”, “ispirare”, “motivare”, “definire”, “agire”. In pochi casi dovrà “far convergere”, “mediare”, “coinvolgere”. Praticamente mai “ascoltare”, “riflettere”, “capire”. Molti i riferimenti bellici, pochissimi quelli cooperativi.

Forse la grammatica latina potrebbe allora correre in aiuto di leader talvolta troppo presi da furore e reattività.

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