Lenin a Varsavia

 da Hr on line

 

In un museo dell’Europa dell’est si può ancora ammirare un grande dipinto che ritrae Nadezda Krupskaja, la moglie di Lenin. Il dipinto la raffigura a letto, in posa amorosa, con un giovane e aitante membro del Comitato Centrale.
Il titolo del dipinto è: “Lenin a Varsavia”.
Si dice che, durante una visita turistica, un visitatore, affascinato dal quadro e nello stesso tempo assai perplesso, abbia chiesto alla guida: “Ma dov’è Lenin? Non lo vedo!”
La guida, con sussiego e grande dignità: “Lenin è a Varsavia”.
Molte volte non vogliamo vedere le cose per come sono e ci fermiamo a quello che ci aspettiamo di vedere. Il tema dell’occupazione ne è un caso esemplare.
Riporto qui il pensiero del grande sociologo e scrittore Ulrich Beck, tra i più grandi pensatori contemporanei: ”Nella commissione del governo tedesco sul futuro del lavoro, di cui ho fatto parte, abbiamo osservato da vicino e con attenzione lo sviluppo del lavoro, trovando in Germania la presenza di una società del lavoro altamente standardizzato. Negli anni settanta un decimo della forza lavoro era rappresentata da lavoratori flessibili nel senso ampio del termine e che arrivarono a un quarto negli anni ottanta e a un terzo negli anni novanta. Se questa crescita continua o accelera nel giro di dieci o quindici anni almeno la metà della popolazione impiegabile in Occidente lavorerà in condizioni precarie (non contrattualizzate, non sindacalizzate).”
Questo non è né bene, né male. E’ così. Facciamocene una ragione. Stiamo andando, nei Paesi occidentali avanzati, verso una piena occupazione flessibile o, se preferite, “a contratto debole”.
La disoccupazione come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi è il prodotto di una società del lavoro regolare. Nei secoli precedenti non si aveva idea di questo: di fatto esistono ancora alcune società che non hanno una parola per “lavoro” dal momento che uomini e donne si limitano semplicemente a compiere certi compiti o funzioni come allevamento, caccia, pesca, raccolta, tessitura, cura dei figli e cucina.
Il concetto di lavoro contrattualizzato e separato dal resto delle attività familiari e domestiche è stato definito dalla rivoluzione industriale, che ha scisso il lavoro dalla vita familiare quotidiana. Oggi il lavoro stabile e scisso così come si è sviluppato in tutto il secolo scorso comincia a cambiare profondamente. Il lavoro sta divenendo sempre più flessibile e “plurimo”, in termini di contenuto e contrattuale. Questo è vero trasversalmente in tutte le categorie sociali.
Da ciò non può non derivare anche che il concetto di disoccupazione come lo abbiamo sempre pensato sta divenendo a brevissimo assolutamente obsoleto.
Tutta la discussione sui dati Istat relativi all’occupazione (da cui discende la polemica sulla validità o meno del Job Act) è stucchevole e da questo punto di vista irrimediabilmente vecchia. La disoccupazione sempre più sarà da misurarsi in chiave di unità di tempo lavorate e di sostenibilità dei redditi rispetto gli standard di vita e non in termini di stabilità del posto di lavoro. Che ci piaccia o meno. Facciamocene una ragione.
Se vogliamo vedere Nadezda Krupskaja a letto con il giovane compagno del Comitato Centrale, non possiamo vedere lì contemporaneamente anche Lenin: lui è per forza a Varsavia!

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