Donna o tigre?

 da Strategia & Organizzazione

C’era una volta un re che sottoponeva tutti i criminali del regno a un insolito dilemma. Invece che scontare la pena comminata, il reo poteva decidere di essere posto in un’arena dalla quale si poteva uscire e conquistare la libertà attraverso una delle due porte davanti alle quali era posto. Dietro una porta c’era una bellissima donna, dietro l’altra una feroce tigre. Il criminale doveva scegliere una porta senza sapere cosa vi fosse dietro. Se avesse scelto la porta con la donna, sarebbe stato dichiarato innocente, ma avrebbe dovuto anche sposare la donna, indipendentemente da ogni altro vincolo precedente. Se avesse scelto la porta con la tigre, invece, questa l’avrebbe sbranato.

Un giorno il re scoprì che sua figlia aveva un amante segreto. Furibondo, imprigionò l’amante anche se questi giurava amore eterno alla principessa. Il re decise inoltre di sottoporre l’uomo al dilemma dell’arena. Uno dei custodi, tuttavia, rivelò in anticipo alla principessa quale fosse la porta con la tigre. La principessa si trovò così di fronte ad un vero dilemma: se avesse suggerito all’amante la porta con la donna, lui si sarebbe salvato ma avrebbe definitivamente perso l’amato, così come se gli avesse suggerito la porta con la tigre. Alla fine la principessa indicò una porta: “dalla porta è uscita la tigre, oppure è uscita la dama?”.

Con questa domanda si chiude il racconto “La donna o la tigre?” scritto da Frank R. Stockton per la rivista The Century nel 1882. Nella lingua inglese il titolo del racconto è diventato un’espressione allegorica per indicare un problema senza via d’uscita poiché qualunque scelta risulta inaccettabile.

Sempre più la nostra vita si sta popolando di contraddizioni e dilemmi apparentemente inconciliabili. Nel mondo del lavoro il paradosso sta divenendo l’elemento costitutivo di una realtà sempre più complessa e confusa. È inevitabile, endemico, perenne.

Uno degli ambiti “paradossali” di cui più si parla nelle imprese in questo periodo, è quello dell’età. Se analizziamo cosa succede nella maggioranza delle aziende italiane, scopriamo che, escluse le posizioni di vertice, i cinquantenni sono considerati ormai “troppo vecchi” per fare ancora carriera. Su di lui non s’investe più in formazione e difficilmente otterrà delle promozioni. E’ questo il primo paradosso dell’età: “Più cresce la popolazione “matura”, più le si richiede di rimanere in attività, meno ci si preoccupa di come potrà rimanerci, perché viene precocemente emarginata dal mondo del lavoro”.

Vent’anni fa un laureato iniziava a lavorare tra i ventidue e i ventiquattro anni, mentre oggi trova il primo contratto a tempo indeterminato a ventisette anni. A quarantacinque anni, però, il giro delle promozioni è in genere concluso. Il periodo utile per la carriera si è notevolmente ridotto, restringendosi soprattutto tra i trenta e i quarant’anni: è quello che potremmo definire il secondo paradosso dell’età: “Più cresce la complessità delle nostre organizzazioni, più si accorcia il tempo per imparare a dirigerle”.

L’invecchiamento della popolazione al lavoro è un fenomeno il cui impatto è stato fin qui gravemente sottovalutato, soprattutto nel nostro Paese. Tra i disoccupati tra i 50 e 60 anni, solo uno su quattro riesce a trovare una nuova occupazione stabile prima della pensione. È questo il terzo paradosso dell’età: “Il capitalismo occidentale ha un eccesso di persone mature e le discrimina anzitempo”.

L’invecchiamento della popolazione al lavoro è un fenomeno il cui impatto è stato fin qui gravemente sottovalutato, soprattutto nel nostro Paese. Tra i disoccupati tra i 50 e 60 anni, solo uno su quattro riesce a trovare una nuova occupazione stabile prima della pensione. È questo il terzo paradosso dell’età: “Il capitalismo occidentale ha un eccesso di persone mature e le discrimina anzitempo”.

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