MORTI SUL LAVORO

 da HR ONLINE

Due muratori stanno lavorando su un ponteggio. È mattina presto, le mani ancora fredde, il cemento già nervoso. Uno dei due, di colpo, si accascia. L’altro scende in fretta, si china, lo scuote. Niente. Prende il telefono, chiama il 118.

«Pronto? Il mio collega è morto! Che devo fa’?».

L’operatore gli risponde con calma: «Si calmi… si assicuri prima che sia davvero morto». Passa un secondo, poi si sente un tonfo secco, tipo colpo di martello.

E la voce torna: «Fatto. E mo’?»

La barzelletta gira ormai da anni. In un sondaggio risultò come una tra le migliori a livello internazionale. Può far ridere, ma solo finché rimane una battuta. Perché il tema di cui parla, la morte sui luoghi di lavoro, è drammatico. Nei primi otto mesi di quest’anno ci sono stati 674 decessi sul luogo di lavoro, l’anno scorso 1.090. Nel recente decreto-legge approvato dal Consiglio dei Ministri, che affronta le “misure urgenti per la tutela della salute, sicurezza e politiche sociali”, si è cercato di fare dei passi in avanti per limitare il fenomeno. Il testo introduce una serie di interventi mirati a rafforzare i controlli, aggiornare le regole esistenti e potenziare la formazione. Tra le novità principali c’è l’incremento del numero di ispettori e del personale incaricato della vigilanza, l’obbligo di un badge identificativo nei cantieri per monitorare la presenza degli operai, un sistema a crediti più rigido per le imprese edili e nuovi finanziamenti — sostenuti dall’Inail — destinati alla prevenzione e alla formazione. Vengono inoltre rivisti i requisiti formativi, le modalità di utilizzo dei dispositivi di protezione individuale e le garanzie per gli studenti coinvolti nei progetti di alternanza scuola-lavoro. Si tratta di misure rilevanti, pensate per aumentare il livello di trasparenza e di responsabilità nel mondo del lavoro.

Rimane però una questione di fondo ancora irrisolta: controlli più serrati e sanzioni più dure riusciranno davvero a ridurre gli incidenti sul lavoro? È indubbio che aumentare il numero degli ispettori rappresenti un passaggio fondamentale. Gli ispettori svolgono un ruolo chiave nella tutela della sicurezza e lo dimostrano i dati di altri Paesi europei: laddove si è investito seriamente in questo ambito, gli infortuni sono diminuiti in modo significativo. In Italia, al contrario, da anni gli addetti ai controlli non sono sufficienti rispetto al numero crescente di lavoratori. Potenziare le squadre ispettive è una misura necessaria e andrebbe presa con la massima urgenza. C’è però un paradosso che non si può ignorare: le condizioni in cui operano gli stessi ispettori, quelli chiamati a garantire la sicurezza, sono spesso tutt’altro che stabili. Lavorano in contesti segnati dalla mancanza di strumenti adeguati e risorse insufficienti, cosa che limita pesantemente l’efficacia del loro intervento. E quando chi dovrebbe vigilare è messo in difficoltà, è difficile aspettarsi un sistema di controlli davvero solido.

Ma non è solo una questione di numeri o di mezzi. Serve andare più a fondo. Aumentare ispezioni e multe è senz’altro importante, ma non basta. La sicurezza non nasce solo dalle sanzioni: nasce da un modo diverso di pensare il lavoro, da una cultura che metta la prevenzione al centro prima ancora che accada qualcosa. Ogni volta che si verifica un infortunio, si corre a rafforzare i controlli, come se bastasse intervenire a posteriori. Ma le radici del problema, spesso, affondano altrove: nel lavoro spezzettato, nella corsa contro il tempo, nella giungla di appalti e subappalti dove la responsabilità si disperde e il controllo diventa più fragile.

Un altro nodo cruciale riguarda l’atteggiamento di molte imprese. Ancora troppo spesso, la sicurezza viene vista come una spesa da tagliare. Si posticipano gli interventi di manutenzione, si comprimono i tempi per rispettare le scadenze, si sottraggono energie e spazi alla prevenzione. È una visione corta, e anche profondamente ingiusta, che finisce per mettere in secondo piano la vita di chi lavora pur di far tornare i conti. Il decreto prevede anche risorse dedicate alla formazione e alla sensibilizzazione: un passo fondamentale. Perché la sicurezza non si costruisce solo con le regole scritte: serve una consapevolezza diffusa. Un cantiere sicuro, così come un magazzino o una linea di produzione ben organizzata, nasce da un modello di lavoro che mette al centro le persone, non soltanto la loro produttività. In questo senso, parlare di sicurezza significa parlare di qualità: del lavoro, ma anche della società intera. Diminuire gli infortuni non si riduce a un problema di controlli: vuol dire cambiare le condizioni reali di lavoro, i tempi, i carichi, la stabilità. Prevenire, in fondo, è un modo concreto di rispettare la dignità di chi lavora.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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