UN PATTO PER IL LAVORO

 da HR ONLINE

Un direttore del personale e un sindacalista si incontrano casualmente in stazione.

– Buongiorno
– Buongiorno
– Anche lei in partenza
– Sì, anch’io
– Dove va?
– A Milano.
– A Milano, eh?! Ma figuriamoci! So benissimo che mi dice che sta andando a Milano perché vuole che io pensi che in realtà lei stia andando a Bergamo. E invece io so benissimo che lei sta davvero andando a Milano. Allora perché raccontarmi delle balle?!

La discussione sulla riforma degli ammortizzatori sociali e la proroga della cassa integrazione stanno evidenziando due posizioni che hanno entrambe, a mio avviso, ragion d’essere. Da un lato gli imprenditori rivendicano la libertà di organizzazione, sancita dalla Costituzione, che non può essere congelata oltre un certo limite. Per altro, il blocco dei licenziamenti è riscontrabile solo nel nostro Paese e ha avuto come effetto che la crisi si è scaricata tutta su donne e giovani perché il blocco dei licenziamenti ha salvaguardato il lavoro a tempo indeterminato e i datori di lavoro dove hanno potuto hanno chiuso tutti i rapporti flessibili, per lo più svolti da donne e giovani.

D’altro lato i sindacati rispondono che non si possono scaricare i costi della pandemia sulle spalle dei lavoratori, ma semmai sulla fiscalità generale. Come scrivevo poc’anzi, entrambe le posizioni hanno la loro ragion d’essere. Il punto, però, è cosa fare da qui in avanti. L’estensione della cassa integrazione sposta solo in avanti il problema. Non lo risolve: occorre che le parti sociali comincino un dialogo più costruttivo di quello indicato nella barzelletta iniziale. Senza un dialogo costruttivo il nostro Paese rischia di cadere in una sorta di paradosso del lavoro: da un lato pesanti licenziamenti con conseguenti tensioni sociali e dall’altro una non ripartenza del Paese dovuta al fatto che il Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) prevede una serie di iniziative ed azioni dove già oggi mancano figure professionali adeguate perché possa essere realizzato.

Il sindacato dovrebbe smetterla di difendere il posto di lavoro e iniziare a difendere il lavoratore. Il capitale dovrebbe smetterla di pensare al lavoratore come a una semplice posta di bilancio e di pensare di poter usare la macchina statuale a suo piacimento. Le due parti dovrebbe sedersi a un tavolo per stringere un Patto strategico per il lavoro perché la classe dirigente di cui disponiamo, salvo pregevoli eccezioni, nel suo complesso è incompetente e inadeguata.

In questo anno di pandemia le forze del lavoro non sono state sufficientemente propositive. Questo è grave perché il lavoro è centrale nella ripartenza. Senza lavoro non c’è futuro.

Il Paese è bloccato su alcune situazioni paradossali relative al lavoro. Da un lato abbiamo una disoccupazione giovanile altissima e d’altro lato abbiamo un cronico disallineamento tra domanda e offerta di competenze necessarie per il nostro sistema economico e sociale. E ancora. Per un verso rischiamo di andare incontro a massicci licenziamenti con conseguenti tensioni sociali e d’altro canto non ci si decide a dare il via a un piano di politiche attive del lavoro con un serio impegno per la riconversione professionale.

Le forze politiche investono decine di miliardi in pensioni anticipate e poco o niente in formazione degli adulti finalizzate a riconvertire centinaia di migliaia di disoccupati di lunga durata verso professionalità che il nostro mercato del lavoro richiede da anni.

Dobbiamo puntare a un Patto per il lavoro che consenta di superare i paradossi del lavoro.

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