L’ESEMPIO

 da HR ONLINE

 

Due amici ebrei si incontrano al parco e ad un certo punto si siedono su una panchina per leggersi il giornale in pace. Il primo tira fuori un quotidiano in lingua “yiddish” e il secondo l’organo ufficiale del partito nazista. Il primo ebreo è sbigottito.

“Ma Yankele, come puoi leggere un giornale simile? Sei impazzito?”.

“Calma, Moishele,” risponde sereno Yankele. “Ti spiego. Quando leggo i nostri giornali soffro come un cane: pogrom in Cecoslovacchia, persecuzioni in Ungheria, odi razziali in Polonia, spedizioni punitive in Romania, attacchi arabi in Medio Oriente… Sai Moishele, non ne posso veramente più! Almeno su questo giornale c’è scritto che gli ebrei governano il mondo, dirigono grandi fabbriche, hanno in pugno la finanza ed influenzano le decisioni degli Stati più potenti del mondo. Potrò prendermi qualche soddisfazione ogni tanto?!??”

Fin qui la barzelletta yiddish degli anni ’30. Qui invece una notizia Ansa dei giorni nostri:

“Chiediamo tassativamente, pena l’interruzione di rapporto di fornitura con la vs Società, che non vengano più effettuate consegne utilizzando trasportatori di colore e/o pakistani, indiani o simili” è il testo della mail choc inviata da un’azienda del Bresciano, la Chino Color S.r.l. di Lumezzane, il 21 giugno scorso, a tutti i suoi fornitori, come riporta ‘Il giornale di Brescia’.

Continua la mail, che ha per oggetto ‘comunicazione importante’: “Gli unici di nazionalità estera che saranno accettati saranno quelli dei paesi dell’est, gli altri non saranno fatti entrare nella nostra azienda né tantomeno saranno scaricati”.

La mail non è piaciuta alla Dtm-Dterchimica, azienda di Torbole Casaglia che fornisce prodotti e servizi di pulizia professionale, che ha risposto spiegando sostanzialmente che l’unico criterio di valutazione preso in considerazione è la professionalità dei lavoratori e non la loro nazionalità.

La notizia ovviamente è stata ripresa da tutte le testate nazionali e locali e la riprovazione è stata pressoché unanime.

Nello stesso tempo ci arriva dagli USA una polemica, di tutt’altro tenore e gravità, ma che ha comunque visto un’azienda al centro di polemiche di carattere valoriale.

Avrebbero dovuto debuttare sugli scaffali a inizio luglio, le Air Max «Fourth of July», le ultime scarpe Nike celebrative del giorno dell’Indipendenza degli Stati Uniti, il 4 luglio. Ma sono state precipitosamente ritirate dal mercato. Le sneaker in edizione limitata erano decorate con la bandiera a strisce rosse e bianche con un riquadro blu con 13 stelle, che richiama le 13 colonie che nel 1776 dichiararono la loro indipendenza dal Regno di Gran Bretagna. Ma l’attivista Colin Kaepernick, ex stella della NFL, e volto del trentennale della campagna Nike «Just do it», ha ricordato che gruppi di suprematisti bianchi hanno recentemente adottato la Betsy Ross come loro emblema. La bandiera in questione, infatti, era quella usata durante la schiavitù, abolita formalmente negli Usa nel 1865. Nike ha chiesto ai negozianti di restituire la merce spedita, rimuovendo l’immagine dell’articolo anche dal suo sito web: un portavoce dell’azienda ha confermato che la «scelta di non commercializzare le Air Max 1 “Quick Strike Fourth of July” è dovuta al fatto che erano decorate con una vecchia versione della bandiera americana».

Si tratta di due notizie di questi giorni, assolutamente lontane tra loro, ma che hanno in comune il tema dell’attenzione all’impatto sociale che possono avere alcune scelte aziendali.

Adriano Olivetti scriveva: “Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?”

Cesare Romiti, quando era amministratore delegato della FIAT, nel suo ufficio aveva appeso un cartello con una scritta che voleva essere un monito per chiunque entrasse nella sua stanza:” L’esempio è la più alta forma d’insegnamento”.

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