LA CLASSE DIRIGENTE CON IL JOYSTICK

 da HR ONLINE

 

 

Un tipo sta guidando la macchina, quando a un certo punto capisce di essersi perso. Avvista un uomo che passa per la strada, accosta e urla:

– Mi scusi, mi potrebbe aiutare? Ho promesso ad un amico di incontrarlo alle due, sono in ritardo di mezz’ora e non so dove mi trovo…

– Certo che posso aiutarla. Lei si trova in un’automobile, tra 40 e 42 gradi latitudine Nord e tra 58 e 60 gradi longitudine Ovest, sono le 14 e 23 minuti e 35 secondi e oggi è venerdì. Ci sono 21,5 gradi centigradi…

– Lei è un tecnico informatico, vero?! – chiede quello dentro l’automobile.

– Certamente. Come fa a saperlo?

– Perché tutto ciò che mi ha detto è ‘tecnicamente’ corretto, ma praticamente inutile. Infatti, non so che fare con l’informazione che mi ha dato e mi ritrovo ancora qui perso per strada!

– Lei allora deve essere un dirigente, vero? – risponde stizzito il tecnico.

– Infatti, lo sono. Ma… da cosa lo ha capito?

– Abbastanza facile: lei non sa né dove si trova, né come ci è arrivato, né tanto meno dove andare. Ha fatto una promessa che non sa assolutamente come mantenere ed ora spera che un altro le risolva il problema. Di fatto, è esattamente nella palta in cui si trovava prima che ci si incontrasse ma adesso, per qualche strano motivo, risulta che la colpa è mia!!!!

L’impressione che ci ha dato la classe dirigente in questi ultimi anni non è stata certamente delle migliori. Sensibilmente invecchiata, prevalentemente maschile, mancante di una sufficiente visione di insieme, debole in competenze e preoccupata più di conservare il proprio potere piuttosto che guidare il Paese verso percorsi di crescita e di sviluppo.
L’élite è sostanzialmente anziana, tanto da poter parlare di una struttura “gerontocratica” del potere. Il basso tasso di ricambio accompagnato dal progressivo invecchiamento è un dato che dovrebbe molto preoccuparci se non fosse che vediamo con altrettanto sconcerto anche le nuove generazioni che dovrebbero prendere da questi il testimone. Se possibile ancora più arroganti e ignoranti, ancor più autocentrati e senza idee chiare o strategie di lungo periodo.
Come già faceva notare uno studio della Luiss relativo alla Classe dirigente, vi è un’attenzione quasi esclusiva al consenso piuttosto che alle competenze, ma anche carenza di visione di insieme e basso senso di responsabilità pubblica. La cultura dominante, infatti, ostacola meccanismi di selezione competitiva. La scarsa attenzione alla necessità di una selezione meritocratica riproduce i meccanismi di reclutamento come quelli basati sull’appartenenza o sulla fedeltà, tipici delle società e delle economie più conservatrici, per cui è la cooptazione, piuttosto che il merito, a fare la differenza. Sembra vigere un principio di selezione avversa che non solo ostacola l’emergere dei migliori, ma favorisce i mediocri: per accedere alle posizioni di vertice infatti più che “la conoscenza”, intesa come sapere al lavoro, contano “le conoscenze”.

Anche nelle imprese assistiamo per lo più a comportamenti di molti vertici aziendali connotati dalla mancanza di un senso di responsabilità verso la società nel suo complesso e una propensione a gestire le aziende con il joystick, come se le risorse umane a loro disposizione fossero un problema da risolvere e non la più grande opportunità di fattore competitivo nelle loro mani. Dobbiamo rifuggire da ogni forma di retorica manageriale, che ha solo una funzione consolatrice, e lavorare per mettere il merito al centro di una nuova cultura del lavoro e del “fare impresa”, dove davvero le persone possano essere al centro.

 

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